A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

giovedì 24 marzo 2016

Una Associazione di Filosofi ricercatori?

Di fronte al modello della Associazione come Regolatore Burocratico, ovvero esecutore di norme etero imposte o autoimposte; di fronte al modello della associazione come Contenitore Identitario, costume d'appartenenza, maschera collettiva atta a riempire un vuoto d'identità; di fronte a questi due modelli, che sono i più diffusi e i più condivisi nella articolazione sociale del nostro paese, io credo che la Rivoluzione Copernicana che si sta auspicando in questi post non possa non determinare anche una radicale revisione del modo di intendere e di vivere il momento associativo.
Probabilmente, il modello di Associazione che più e meglio si adatta alla fisionomia del Filosofo Pratico come sto cercando di disegnarla, è quella di una messa-in-relazione tra singoli plurali, che rispettano la loro diversità perché apprezzano ogni singolarità.
Solo dopo aver fatto quel passo indietro di cui ho parlato in altro post, è possibile riscoprire la singolarità plurale di ognuno, ovvero quelle originalità di cammino che non si annullano reciprocamente, ma che si sommano, si intrecciano, si arricchiscono dalla reciproca vicinanza.
Ciò che ne deriverebbe sarebbe una Associazione di filosofi ricercatori che mettono insieme il frutto del loro lavoro, non per confutarsi reciprocamente, ma per progredire collettivamente, perché la verità non è Una, ma è sempre Un Complesso che si produce.

giovedì 17 marzo 2016

Una Rivoluzione Copernicana.

Forse, oggi, è giunto il momento per una vera e propria Rivoluzione Copernicana nel mondo delle pratiche filosofiche. E' un'operazione che si rende necessaria a fronte di tutto ciò che sto dicendo in questa pubblica e aperta riflessione, partita da una messa in questione del "professionismo", e passata attraverso un rigetto del dualismo psicologistico, per approdare ad alcuni temi ancora molto rozzamente delineati, quello della complessità e quello della quotidianità del mondo-della-vita.
Tutto questo insieme tematico necessita appunto, a mio modo di vedere, di un rovesciamento di prospettiva, rispetto al modo in cui fino ad oggi è stata vissuta - per lo più - la pratica filosofica e in particolare la Consulenza Filosofica: dall'essere una pratica rivolta ad altri, e quindi presentabile come una pratica-di-cura, ad una pratica per me, cioè intesa come il percorso che mi consente di ritornare filosoficamente al mondo-della-vita.
Questa vera e propria Rivoluzione Copernicana, naturalmente, avrebbe molte conseguenze rilevanti. Ne elenco confusamente alcune: l'abbandono del modello professionale della cura, del servizio offerto a; l'allontanamento da ogni forma di relazione d'aiuto; la focalizzazione sul proprio percorso personale - di singoli, singolare plurale - ; l'approfondimento dei temi relativi al nostro essere nel mondo-della-vita, oppure con altre parole, della vita filosofica.

domenica 13 marzo 2016

E poi il quotidiano...

Certamente chi è transitato seriamente nella Consulenza Filosofica ha scoperto l'esistenza di uno spazio che in realtà già conosceva, che era già lì ma ignorato, e spesso filosoficamente frainteso. Entrare nel mondo-della-vita come si entra in uno spazio nuovo  che in fondo è la nostra casa, ma come se non l'avessimo mai vista davvero, mai sentita come nostra. Prima di ogni definizione scientifica, prima di ogni idealizzazione, vi sé questo rapporto immediato con le cose, con i propri desideri e credenze, con i fatti, con i sentimenti, con i rapporti, con i poteri, con i conflitti... E' un mondo quotidiano ove molto di ciò che accade non è d'un soggetto ma è di una neutralità plurale che quella del si dice, si fa, si ritiene, ...
Quotidianità senza soggetto e senza oggetto, perché ivi il mondo è un sistema di possibilità, di ostacoli, di pertinenze, di alterità, di contatti, di commerci, di scambi...
Quotidianità spesso senza logica, perché già la logica costituisce un processo di idealizzazione, una sostruzione (costruzione su) come direbbe Husserl. Il quotidiano, lo sappiamo bene, spesso è incoerente, ambivalente, ambiguo, soggetto al malinteso e all'errore. Ma è proprio questo il nostro quotidiano, è questo il mondo-della-vita con cui ci dobbiamo confrontare.
Ecco, forse lo stare nella Consulenza Filosofica ci ha dato l'opportunità di fare esperienza di questo spazio vissuto, che ci appartiene, anche quando non lo sappiamo. E' in questo spazio che bisogna saper penetrare. Anche qui c'è un intero mondo da ri-scoprire.

sabato 12 marzo 2016

La complessità innanzi tutto ...

Chi in questi anni ha fatto seriamente Consulenza Filosofica, di sicuro ha imparato fra le altre cose la complessità dell'essere umano. Soprattutto se ha provato a comprenderlo al di fuori di ogni dualismo, e quindi si è addentrato nel caos dell'esistenza vissuta, delle pratiche, delle azioni, dei gesti, delle scelte, delle ragioni, dei valori... cioè in quel magma che compone la nostra quotidianità pensata.
Chi ha gettato uno sguardo in questo mondo ha visto l'insufficienza di ogni approccio uni-dimensionale, cioè di ogni approccio che trovi le proprie ragioni solo sullo scarto preventivo di una parte della nostra umanità.
Si tratti, da un lato dell'approccio psicologistico che si preclude la possibilità di comprendere il gesto reale - corpo intelligente dell'uomo. Si tratti, dall'altra parte, di ogni approccio ideologico, che misura l'uomo in base ai movimenti macchinici di corpi collettivi, senza soggetti reali, senza singolarità, onde in una storia metafisica.
Al di là di questi filtri settoriali, di queste amputazioni di umanità, fare prova della complessità, significa appunto lavorare sulla nostra capacità di essere senso-al-mondo, non senso-del-mondo, né senso-nel-mondo. Dove l'at congiuntivo non è una produzione ma una ap-propriazione dello spazio mondo.

mercoledì 9 marzo 2016

Ma cosa abbiamo imparato dalla Consulenza Filosofica?

L'esperienza della Consulenza Filosofica rimonta, in Italia, ai primi anni del 2000, sono una quindicina d'anno di lavoro, e non sono pochi. Ciò che mi chiedo oggi è: che cosa abbiamo appreso dall'esercizio reale di questa pratica? Certo all'inizio si è trattato soprattutto di mettere a punto condizioni, metodi, strutture, contesti, si è trattato di portate a superiore chiarezza un'attività in parte sconosciuta, si è trattato di rispondere a domande che nascevano dalla pratica stessa e che si rispecchiavano poi nella pratica, contribuendo ad affinarla, a portarla ad una maggiore consapevolezza teorica e operativa.
Ma questo nella prima fase. C'è stata poi una fase seconda, nella quale gli operatori, i filosofi, hanno avuto la possibilità di porsi nuove domande, non più interne alla pratica e ad essa funzionali, ma piuttosto rivolte a ciò che dalla pratica come tale era possibile estrarre. La pratica della filosofia, la filosofia come "consulenza", mette in situazione noi come filosofi, la filosofia come tale, l'esistenza delle persone, le ragioni, i valori, le idee che danno forma alla vita singolare e collettiva.
Bene, dal nostro stare in situazione cosa abbiamo imparato? Sarebbe interessante cominciare a confrontare le nostre risposte a questa domanda generale e verificare ciò di cui io sono convinto, e cioè che questa pratica ci mette in condizione di fare straordinarie scoperte proprio in quella zona ancora ampiamente esplorabile del rapporto tra il singolo, la collettività, il mondo. C'è tutto un lavoro da fare, e comincia adesso.

domenica 6 marzo 2016

Aprire spazi del pensiero

C'è qualcosa che chiunque abbia provato una buona esperienza di pratica filosofica di gruppo, sia con filosofi sia con non filosofi, ha sicuramente realizzato, e cioè che il primo rilievo che appare collettivamente è questo: ecco lo spazio del pensiero. La pratica filosofica apre spazi del pensiero, ove il termine non va ridotto a una semplice metafora ma va preso anche letteralmente, nel senso di creare una occasione, un luogo, un evento, nel quale sia protagonista il pensiero non come semplice esercizio neutrale, enigmistico, ma come messa in gioco della propria esistenza singolare/plurale, attraverso lo strumento del dialogo razionale, della condivisione d'esperienza, della messa in questione di temi e figure della nostra cultura. Forse è questo allora il primo, non l'unico ovviamente, ma il primo dei fini delle pratiche filosofiche nel loro complesso, aprire spazi del pensiero. Credo si possa partire da qui.

venerdì 4 marzo 2016

Dal concetto della pratica al soggetto della pratica

Credo sia venuto il momento di spostare l'attenzione dal tema socratico del "che cos'è la Consulenza Filosofica" a quello non meno filosofico del " qual è la finalità ideale che rende ragione dell'esistenza della Consulenza Filosofica?". Ciò comporta, ovviamente uno spostamento radicale dal concetto della pratica, sul quale molto si è dibattuto - e poco si è scritto -  in questi anni, al soggetto della pratica. Perché l'aspetto teleologico non può che essere focalizzato sul sistema delle scelte individuali - qual è la finalità ideale che rende ragione del tuo essere un Consulente Filosofico? -
Tuttavia non bisogna equivocare : nessuno adotta una pratica privatamente, nella più perfetta solitudine. Una pratica è sempre un movimento collettivo, e dunque la finalità individuale è anche una finalità collettiva, non può non esserlo. Il singolo può avere anche finalità proprie - affermazione, denaro, ecc. - ma se aderisce al movimento di una pratica non può non condividerne le finalità generali. Ma allora questa si profila come la domanda chiave sulla base della quale dovremmo ritrovare il senso del nostro agire, e magari superare certe difficoltà nel concetto della pratica entro le quali la discussione tende a incagliarsi.