A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

sabato 20 febbraio 2016

Pratica Filosofica e Accademia

Nell'ambiente della Consulenza Filosofica, o delle Pratiche Filosofiche, spazio che in generale potremmo definire della "Pratica Filosofica" (espressione da intendersi - nel suo insieme - come nome proprio identificativo di un contesto e di una pluralità di ruoli, non come qualificativo di un sostantivo, perché è ovvio che la filosofia, in tutte le sue forme è comunque una "pratica"), in questo contesto dunque, è invalso l'uso, più o meno esplicito, di distinguersi, più o meno nettamente, dalla cosiddetta "Filosofia Accademica". Ora, il fatto che la Pratica Filosofica sia nata fuori delle Università è sicuramente un dato storico e sociologico rilevante, ma in realtà nulla impedirebbe ad essa di rientrarvi diciamo così dalla finestra (come per altro già avviene per esempio attraverso i Master Universitari), perché la distinzione è in sé fasulla, inconsistente. Prima di tutto perché non esiste affatto una "Filosofia Accademica", cioè una filosofia che si distingua nella sua stessa natura per il luogo in cui nasce e si sviluppa, la filosofia si distingue piuttosto per coerenza, per profondità, per originalità.
Tuttavia esiste una "Istituzione" Accademica, che si concretizza nell'Università intesa appunto come Istituzione pubblica, non solo come luogo fisico, dunque ma come l'insieme delle pratiche che la costituiscono, e quindi delle norme che sono state fissate per essa, e dei ruoli che contempla e che realizzano tali pratiche - in base a tali norme.
Sono dunque i ruoli che possono interpretarsi in modo "Accademico" e quindi essere fagocitati dal meccanismo norme-ruoli-pratiche nel quale viene a perdersi il contatto con la creatività e con la varietà delle situazioni e degli eventi. Non esiste allora una Filosofia Accademica, ma esistono certamente molti Accademici, nel senso di attori di un ruolo istituzionale prestabilito.  E' rispetto ad essi che la Pratica Filosofica si distingue, o dovrebbe distinguersi, nettamente. Il confronto non è tanto nella teoria quanto nel modo in cui si intende individualmente il proprio ruolo di Filosofo.
Quando un Filosofo tende a rinchiudersi dentro le norme costitutive di un'Istituzione diviene Accademico nel senso deteriore del termine. E ciò, è ovvio, vale anche, seppur in misura diversa, se l'Istituzione è privata e non pubblica. Anche il Filosofo Pratico dunque, paradossalmente, può in certo senso diventare un "Accademico".

1 commento:

  1. Certo, nulla impedisce di fare, davvero, "filosofia" tra le mura "accademiche", come al parco o nel rifugio alpino.
    Tuttavia, l'Accademia, proprio come un'azienda che si giovasse del contributo di un filosofo "consulente", potrebbe costituire un ambiente un po' restrittivo, se pretendesse dal filosofo "troppo", in termini di risultati da conseguire, di fondamenti culturali da esibire (leggi note a pie' di pagina ecc.).
    Storicamente, come sai, nella mia prospettiva la "storia della filosofia come disciplina" si è separata da secoli, anzi da millenni dalla "storia della filosofia come pratica", conclusasi sostanzialmente con la chiusura della scuola d'Atene nel 529 d.C. Dunque il lavoro da fare sarebbe enorme...

    Giorgio Giacometti

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